Le Rems: cosa sono e perché sono un grande problema in Italia?

Prima c’erano i manicomi, poi sono arrivati gli ospedali psichiatrici giudiziari e adesso le Rems, ovvero le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza.

Nel tempo cambiano le definizioni e le modalità di direzione, ma il problema rimane sempre lo stesso, ovvero la corretta gestione dei malati psichiatrici, che torna alla ribalta soltando quando c’è qualcuno che paga con la vita, come è successo a Barbara Capovani, morta dopo essere stata aggredita da un suo ex paziente, Gianluca Paul Seug, fuori dal reparto di Salute Mentale Adulti e SPDC dell’ospedale Santa Chiara di Pisa.

Un dramma che infiamma nuovamente il dibattito sulla gestione dei malati psichiatrici, sulle misure di sicurezza adottate e sulle criticità che riguardano il sistema delle Rems, le strutture che attualmente dovrebbero ospitare i soggetti parzialmente o totalmente incapaci di intendere e di volere, colpevoli di un reato grave e giudicati pericolosi per la società.

Cosa sono le Rems e quali sono le cricità del sistema

Dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, avvenuta definitivamente nel 2015, il loro posto è stato preso dalle Rems, Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, strutture che oltre ad una funzione custodiale, prevedono anche un percorso di riabilitazione sociale.

Il problema delle carceri in sovraffollamento e dei pochi posti delle Rems
Il problema delle carceri in sovraffollamento e dei pochi posti delle Rems – Pexels @Donald Tong – 15giorni.it

Introdotte in Italia dalla Legge 354/75, che prevede l’istituzione di queste strutture per la custodia cautelare di persone ritenute pericolose per la sicurezza pubblica, al momento sul territorio nazionale ne esistono 30, sparse in diverse regioni italiane.

Rispetto ai vecchi Opg, la gestione interna della residenza è di esclusiva competenza del sistema sanitario nazionale, con il giudice che dispone il ricovera nelle Rems soltanto “quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale”.

Le Rems non sono dei luoghi penitenziari, ma delle strutture di sicurezza che ospitano le persone inferme di mente che hanno commesso reati gravi.

Un sistema che sulla carta supera i vecchi ospedali psichiatrici, le cui pessime condizioni erano state oggetto di una indagine parlamentare nel 2011, ma che nel concreto presenta molte criticità.

In primis la carenza di posti: soltanto 600 sul territorio nazionale, con circa 750 persone in lista d’attesa, con i tempi che variano da regione a regione, ma che difficilmente sono inferiori ai 10 mesi: un cortocircuito che può portare a conseguenze tragiche, poiché si rischia di lasciare in libertà individui potenzialmente pericolosi.

Non a caso, una sentenza della Corte costituzionale ha affermato che “l’applicazione concreta delle norme vigenti in materia di Rems presenta numerosi problemi strutturali, di sicurezza e di assistenza medica”.

Il sistema attuale non tutela efficacemente né i diritti delle potenziali vittime di aggressioni, né il diritto alla salute del malato, il quale non riceve i trattamenti necessari per aiutarlo a superare la propria patologia e a reinserirsi nella società.

Inoltre, la Corte costituzionale ha evidenziato che “la regolamentazione delle Rems è solo in minima parte affidata alla legge, rendendo fortemente disomogenee queste realtà da Regione a Regione, e che il sistema non tutela in modo efficace i diritti fondamentali delle potenziali vittime di aggressioni o il diritto alla salute del malato”.

Infine, l’estromissione del ministero della Giustizia da ogni competenza riguardante le Rems, dunque in materia di esecuzione di misure di sicurezza disposte dal giudice penale, non è compatibile con l’articolo 110 della Costituzione che assegna a tale Ministro la responsabilità dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.

A queste vanno aggiunte altre problematiche come il sovraffollamento nelle strutture, la carenza di personale sanitario e le condizioni di vita degli ospiti, spesso costretti a vivere in isolamento.

Se questo quadro non fosse già abbastanza grave, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per aver violato gli articoli 3, 5 e 6 della Convenzione perpetrata ai danni del cittadino, detenuto in carcere nonostante i giudici ne avessero disposto il ricovero in una Rems.

Il caso riguardava un individuo bipolare e dipendente dalle droghe che commetteva crimini fuori dal carcere e atti autolesionistici dentro il carcere.

Data l’infermità mentale e la pericolosità, il giudice aveva disposto il ricovero in una Rems, ma la lunga lista d’attesa ha costretto il detenuto a rimanere in carcere.

Proprio il mantenimento del soggetto in stato detentivo in ambiente penitenziario ordinario ha impedito la cura terapeutica adeguata e ha costituito un trattamento definito dalla Corte “inumano e degradante”.

I giudici, definendo “illegale” la privazione della libertà dell’individuo, hanno condannato lo Stato italiano a versare una somma di euro 36.400 per danno morale e di euro 10.000 per le spese.

La sentenza afferma che “la detenzione di un paziente mentale può essere considerata regolare solo se avviene in un istituto adeguato e il suo scopo è quello di fornire le cure necessarie per migliorare la salute dell’individuo e gestire la sua pericolosità”.

In questo caso, il soggetto non è stato trasferito in un istituto adeguato e non ha ricevuto le cure necessarie, restando chiuso in un carcere ordinario.

Lo Stato italiano è stato così condannato per non essere stato in grado di organizzare il proprio sistema penitenziario, non avendo trovato una soluzione adeguata per il protagonista della vicenda o aumentato il numero di posti nelle Residenze.

In sostanza, la carenza di posti e i lunghi tempi d’attesa partoriscono un corto circuito molto pericoloso: una persona inferma di mente e socialmente pericolosa non trova spazio per un ricovero adeguato e, giustamente, non può andare in carcere.

Le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza in Italia

Come detto a inizio articolo, in Italia al momento esistono 30 Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, sparse tra le regioni. Il Lazio, con cinque strutture, è la regione con il maggior numero di Rems, seguita dalla Campania con quattro e dal Friuli Venezia Giulia con tre. Ecco l’elenco completo

  • Abruzzo Barete – Barete (l’Aquila)
  • Basilicata Pisticci -Pisticci (Matera)
  • Calabria Santa Sofia D’Epiro – Santa Sofia D’Epiro (Cosenza)
  • Campania Calvi Risorta – Calvi Risorta (Caserta)
  • Campania Mondragone – Mondragone (Caserta)
  • Campania San Nicola Baronia – San Nicola Baronia (Avellino)
  • Campania Vairano Patenora – Vairano Patenora (Caserta)
  • Emilia Romagna Bologna – Bologna
  • Emilia Romagna Casale di Mezzani – Mezzani (Parma)
  • Friuli Venezia Giulia Aurisina – Aurisina (Trieste)
  • Friuli Venezia Giulia Maniato – Maniago (Pordenone)
  • Friuli Venezia Giulia Udine – Udine
  • Lazio Ceccano – Ceccano (Frosinone)
  • Lazio Palombara Merope – Palombara Sabina (Roma)
  • Lazio Palombara Minerva- Palombara Sabina (Roma)
  • Lazio Pontecorvo – Pontecorvo (Frosinone)
  • Lazio Subiaco Castore – Subiaco (Roma)
  • Liguria Genova Pra – Genova
  • Lombardia Castiglione – Castiglione delle Stiviere (Mantova)
  • Marche Casa Gemelle – Monte Grimano Terme (Pesaro e Urbino)
  • Piemonte Anton Martin – San Maurizio Canavese (Torino)
  • Piemonte Bra Casa di cura San Michele – Bra (Cuneo)
  • Puglia Carovigno – Carovigno (Brindisi)
  • Puglia Spinazzola – Spinazzola (Barletta-Andria-Trani)
  • Sardegna Capoterra – Capoterra (Cagliari)
  • Sicilia Caltagirone – Caltagirone (Catania)
  • Sicilia Naso – Naso (Messina)
  • Toscana Volterra Padiglione Morel – Volterra (Pisa)
  • Trentino A.A. Pergine Valsugana – Pergine Valsugana (Trento)
  • Veneto Nogara – Nogara (Verona)
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