Ricette italiane taroccate: richiesta di certificazione di qualità della ristorazione italiana all’estero

Il 60% degli italiani in viaggio all’estero, che sia per lavoro o in vacanza, si sono imbattuti almeno una volta in un piatto o in una specialità Made in Italy taroccata.
Questo è quello che emerge dall’analisi Coldiretti/Notosondaggi divulgata in occasione del Summer Fancy Food 2023 di New York, il più importante evento fieristico mondiale dedicato alle specialità alimentari presso il Javits Center dove, al padiglione ItaliaColdirettiCampagna AmicaFiliera Italia mettono a confronto per la prima volta le autentiche specialità nazionali con le brutte copie di imitazione.
Nella stessa occasione i cuochi contadini dimostreranno la differenza tra i veri piatti della tradizione gastronomica italiana e quelli storpiati all’estero con ricette improponibili.

Certificazione di qualità della ristorazione italiana all’estero

Una vera e propria occasione per sostenere la candidatura della pratica della cucina italiana per l’iscrizione nella Lista rappresentativa dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità dell’Unesco che, ricordano Coldiretti e Filiera Italiana, si svolge dopo l’approvazione che parte del Governo del Disegno di Legge su “Disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del Made in Italy che prevede l’istituzione di un ente per la certificazione di qualità a favore della ristorazione italiana all’estero con ben l’87% degli italiani ritiene importante per verificare la reale origine dei piatti serviti.
Pizza con l'ananas
Foto | Unsplash @Chad Montano – 15giorni.it

«Non è un caso – sottolineano Coldiretti e filiera Italia – che la ricetta più popolare negli Usa sia macaroni and cheese e si ottiene cucinando la pasta con una salsa a base di formaggio, molto spesso cheddar di produzione statunitense. Si tratta di una pasta cotta al forno in una salsa di besciamella e formaggio che sembra derivare da un vecchio libro di cucina italiana del 14esimo secolo. Un esempio illuminante della trasformazione che subiscono i piatti della tradizione tricolore nel nuovo continente».

Altro sacrilegio è la pizza all’ananas, la quale ha trovato la sua fortuna in America dove è molto apprezzata, specialmente con l’aggiunta di prosciutto cotto, al pari degli spaghetti bolognese con le polpette di carne servite come piatto unico, un must della cucina italo-americana anche se è appurato che in Italia non esiste.

Per non parlare della carbonara che negli USA viene preparata con il bacon al posto del guanciale e viene aggiunta o la panna o lo yogurt per dare consistenza, oppure delle lasagne che vengono servite con l’immancabile presenza della ricotta.

«Molto diffuso, da parte degli americani, è l’uso improprio di ingredienti della tradizione italiana, – continua la Coldiretti – come il pesto che viene usato come salsa da usare su tutto, dai crostini, al pane fino al pollo. Stesso discorso vale per il Parmigiano, in nove casi su dieci consumato nella versione taroccata del Parmesan del Wisconsin. Non mancano – precisano Coldiretti e Filiera Italia – le varianti di ricette della tradizione popolari come la bruschetta che negli Usa si è trasformata nel garlic bread con il pane imbottito di pezzi di aglio o annegato nel burro aromatizzato all’aglio»

E se in Italia il condimento immancabile è a base di olio extravergine di oliva, per l’Italian dressing americano non esistono davvero limiti con le combinazioni più fantasiose, a partire dall’olio di soia.

Una flessibilità che riguarda anche i piatti più semplici della tradizione tricolore come la caprese con la versione americana che utilizza la mozzarella di produzione locale, molto diversa da quella italiana e non solo nella forma.

«La mancanza di chiarezza sulle ricette Made in Italy offre terreno fertile alla proliferazione di falsi prodotti alimentari italiani è per questo è importante fare chiarezza sulla cucina italiana nel mondo con il riconoscimento come patrimonio Unesco» conclude il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel precisare che al valore culturale si aggiunge quello economico ed occupazionale per il Paese.

Gestione cookie